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Dal Dato all’Azione: Come la Manutenzione Predittiva Riduce i Costi e i Fermi Tecnici nel Fleet Management

In un contesto competitivo come quello della mobilità aziendale, ogni minuto di inattività di un veicolo rappresenta un costo tangibile: ritardi nei servizi, inefficienze operative, danni reputazionali. È in questo scenario che la manutenzione predittiva – abilitata dai dati telematici – diventa un alleato strategico per le flotte, trasformando la gestione dei mezzi da reattiva a realmente proattiva.

Fino a pochi anni fa, le flotte si affidavano principalmente a modelli di manutenzione reattiva (intervenire solo dopo il guasto) o preventiva (seguire intervalli fissi di manutenzione). Entrambe le logiche presentano limiti evidenti: la prima espone al rischio di guasti improvvisi, la seconda può generare costi inutili. La manutenzione predittiva, invece, utilizza l’analisi dei dati in tempo reale per anticipare l’insorgere di problemi. Grazie alla telematica, parametri come chilometraggio, temperatura dei componenti, vibrazioni anomale, stili di guida e codici di errore della centralina vengono raccolti, analizzati e trasformati in insight operativi.

Il valore aggiunto delle soluzioni telematiche risiede nell’integrazione tra dispositivi a bordo veicolo, piattaforme analitiche e servizi connessi. I dati raccolti dai veicoli vengono elaborati da algoritmi predittivi che individuano pattern di rischio e generano alert tempestivi per i fleet manager. Questo consente di pianificare con anticipo gli interventi evitando guasti critici; ridurre i costi straordinari di manutenzione; estendere la vita utile dei veicoli; ottimizzare il Total Cost of Ownership (TCO).

Immaginiamo un veicolo aziendale che inizia a mostrare un aumento costante delle vibrazioni a un asse, rilevato dai sensori telematici. Il sistema interpreta il dato come sintomo precoce di usura e segnala il potenziale rischio al fleet manager. Grazie a questo avviso, è possibile anticipare l’intervento tecnico, evitando un guasto che avrebbe comportato il fermo del veicolo, il traino e la sostituzione temporanea.

Investire in manutenzione predittiva non è solo una scelta tecnologica, ma una leva per migliorare l’efficienza operativa. Il ritorno sull’investimento si misura attraverso: la riduzione del downtime non pianificato; la diminuzione dei costi di riparazione straordinaria; il miglioramento dell’affidabilità complessiva della flotta; la maggiore soddisfazione dei driver e dei clienti finali. Secondo analisi di settore, le aziende che adottano modelli di manutenzione predittiva possono ridurre fino al 30% i tempi di inattività e fino al 20% i costi di manutenzione.

Fleet manager, driver, officine e aziende clienti beneficiano di un ecosistema più efficiente, con veicoli sempre operativi, pianificazioni più affidabili e riduzione degli imprevisti. Ma il vantaggio è anche reputazionale: chi investe in tecnologie predittive dimostra attenzione alla sostenibilità, alla sicurezza e all’innovazione.

La telematica ha aperto una nuova era nella gestione delle flotte. Non si tratta solo di raccogliere dati, ma di trasformarli in valore.

Mobilità condivisa: il cambio di paradigma è già iniziato

In Italia, la mobilità continua a essere dominata dall’uso dell’auto privata. Secondo i dati del Rapporto Future Ways 2024, nel nostro Paese circa l’80% delle percorrenze avviene con mezzi personali motorizzati, principalmente automobili. Nonostante l’emergere di nuove soluzioni e servizi, il modello della mobilità personale continua a condizionare le infrastrutture, la spesa delle famiglie e la pianificazione urbana.

La centralità dell’auto privata non si misura solo in termini di utilizzo, ma anche di risorse. Le famiglie italiane destinano quasi il 90% della spesa per la mobilità all’acquisto, alla gestione e alla manutenzione dei veicoli di proprietà. La rete stradale, le politiche fiscali e le abitudini quotidiane rafforzano un sistema che ha prodotto nel tempo benefici in termini di libertà individuale, ma anche elevati costi sociali, ambientali ed economici.

Eppure, un cambiamento è in corso. Il concetto di mobilità condivisa sta guadagnando terreno e consenso, non solo tra gli esperti del settore, ma anche nella consapevolezza pubblica. Il Rapporto Future Ways 2024, a cura della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e dell’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, propone una lettura sistemica e aggiornata di questo scenario, distinguendo chiaramente due modelli di fondo: la mobilità personale e la mobilità come servizio.

La mobilità condivisa non si limita al trasporto pubblico tradizionale, ma comprende una vasta gamma di soluzioni: autobus, treni, taxi, veicoli in sharing (auto, biciclette, monopattini), servizi a chiamata e sperimentazioni sempre più diffuse di piattaforme digitali. È un sistema in cui il mezzo di trasporto non è posseduto, ma usato solo quando serve; in cui l’interazione tra domanda e offerta avviene in tempo reale, e dove l’efficienza si misura sulla capacità di rispondere a bisogni diversi, in contesti diversi.

Questo nuovo paradigma non propone di sostituire semplicemente l’auto privata con un altro mezzo. Al contrario, si basa sulla complementarità: ogni servizio, dal treno all’e-bike, ha un ruolo specifico all’interno di un ecosistema integrato. L’obiettivo è permettere alle persone di scegliere l’opzione più efficiente, economica e sostenibile in base al tipo di spostamento, al momento della giornata, alle condizioni meteo, ai costi.

Il ruolo della digitalizzazione

A rendere possibile questa trasformazione è la transizione digitale. Le piattaforme MaaS (Mobility as a Service) permettono oggi di pianificare, prenotare e pagare un viaggio multimodale da un’unica app. I dati raccolti dai sistemi telematici consentono di ottimizzare l’offerta, anticipare i flussi di domanda, migliorare la qualità del servizio. E la diffusione di tecnologie come il GPS, il cloud computing, l’intelligenza artificiale e i pagamenti contactless rende tutto più semplice e accessibile.

La digitalizzazione ha anche un effetto culturale. Sempre più persone, soprattutto nelle aree urbane, stanno cambiando il proprio approccio alla mobilità. Si passa dall’idea del possesso a quella dell’accesso, dalla guida all’essere trasportati, dal mezzo individuale al servizio condiviso. Questo cambiamento non è solo tecnologico, ma sociale, e riflette nuove priorità: sostenibilità, flessibilità, tempo di qualità, riduzione dello stress.

I vantaggi della mobilità condivisa sono numerosi. Dal punto di vista ambientale, i veicoli condivisi emettono in media meno CO per passeggero rispetto a quelli privati. Le flotte sono più moderne e più elettrificate: oltre il 26% dei veicoli condivisi è elettrico, contro lo 0,5% del parco auto privato. Anche i costi esterni (incidenti, congestione, rumore, inquinamento) risultano più contenuti.

Dal punto di vista sociale, la mobilità condivisa può contribuire a contrastare la povertà di trasporto, ovvero l’incapacità di spostarsi per motivi economici o geografici. Nelle aree periferiche e nei piccoli centri, dove il trasporto pubblico è spesso assente o insufficiente, l’accesso a servizi di mobilità condivisa può fare la differenza tra partecipazione e isolamento. Garantire il diritto alla mobilità è anche una forma di giustizia sociale.

Le sfide da affrontare

Nonostante il potenziale, la mobilità condivisa in Italia deve ancora superare diversi ostacoli. L’offerta resta limitata rispetto alla domanda, soprattutto fuori dai grandi centri. Gli investimenti pubblici nel trasporto locale non crescono da oltre un decennio, e la spesa pro-capite è ancora inferiore rispetto a Francia e Spagna. Serve uno “shock di offerta”, come lo definisce il rapporto: un aumento deciso dei servizi, un miglioramento dell’infrastruttura, una governance orientata all’integrazione tra operatori e territori.

La mobilità condivisa non è una moda, ma una leva strategica per costruire un futuro più sostenibile, inclusivo ed efficiente. Il cambiamento è già iniziato, ma la sua realizzazione richiede visione, coordinamento, innovazione e coraggio politico. Offrire alternative credibili all’auto privata non significa togliere libertà, ma moltiplicare le opportunità. Significa immaginare città e territori dove muoversi è più semplice, più economico e più giusto.

Fonte: “Rapporto Future Ways 2024 – Perché la mobilità condivisa è importante”, Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e Osservatorio Nazionale Sharing Mobility. Contenuti rielaborati a fini divulgativi.

Dalla cortesia all’intelligenza: come i veicoli sostitutivi stanno ridefinendo l’esperienza utente

Di Massimo Micucci – Senior Consultant Open Gate Italia

Entro il 2026, oltre il 60% delle aziende europee integrerà soluzioni digitali nei propri servizi di mobilità.
In questo scenario, anche le auto di cortesia evolvono: da semplici sostituti temporanei a touchpoint digitali che migliorano la customer experience e creano valore operativo. Se in passato erano semplici veicoli “di transizione”, oggi diventano un punto di contatto digitale tra brand e cliente. Grazie all’integrazione tra app, tecnologie IoT e sistemi di fleet management, l’utente può prenotare, sbloccare e riconsegnare l’auto senza passaggi burocratici o code in concessionaria.

Questa nuova esperienza migliora la soddisfazione del cliente, consente una gestione più agile e sicura del parco veicoli e trasforma un costo fisso in uno strumento di raccolta dati e ottimizzazione del servizio post-vendita. In prospettiva, anche i veicoli sostitutivi diventeranno parte di un’offerta orientata al “mobility as a service”, modulabile in base alle esigenze.

I sistemi più avanzati integrano intelligenza artificiale e machine learning per analizzare pattern d’uso, prevedere guasti, suggerire ottimizzazioni e migliorare la sicurezza. L’intelligenza predittiva consente di ridurre incidenti e fermi macchina, mentre il monitoraggio dello stile di guida promuove condotte più sicure e sostenibili. Il cloud e la connettività IoT rendono possibile la gestione in tempo reale anche di flotte complesse e distribuite, facilitando l’interazione con ERP, CRM e strumenti di fatturazione automatica. Il veicolo diventa un nodo in dialogo costante con l’intera architettura aziendale.

Vantaggi misurabili per aziende, utenti e ambiente

L’adozione di sistemi digitali nel fleet management porta vantaggi concreti e quantificabili:

  • Efficienza: ottimizzazione dei percorsi, riduzione dei tempi di fermo e interventi predittivi abbassano i costi operativi fino al 20%.
  • Sostenibilità: l’integrazione con veicoli elettrici o ibridi, incentivata dai sistemi di monitoraggio, riduce consumi ed emissioni.
  • Customer experience: processi fluidi e digitali aumentano la soddisfazione e fidelizzazione del cliente.
  • Sicurezza: strumenti di analisi predittiva e monitoraggio comportamentale abbattono il tasso di incidenti.
  • Protezione del patrimonio: geolocalizzazione e antifurti smart aiutano a contrastare il fenomeno dei furti aziendali.

Sebbene i vantaggi siano evidenti, restano alcune sfide da affrontare. La gestione dei dati richiede un approccio etico e trasparente, supportato da policy ben definite e da un’adeguata formazione del personale. Inoltre, molte organizzazioni devono ancora colmare il gap tecnologico interno: l’integrazione tra soluzioni digitali di nuova generazione e sistemi legacy rappresenta un passaggio cruciale, ma spesso complesso.

Il futuro è già in movimento. E passa per una nuova cultura del dato, della tecnologia e del servizio.

OCTO intervista il suo Global Markets Leader Insurance Francesco Gobello

    1.Come si declina operativamente il ruolo di Global Markets Leader Insurance in una strategia commerciale internazionale come quella di OCTO?

    Il mio ruolo è focalizzato sull’espansione commerciale di OCTO in tutte le aree geografiche in cui la telematica rappresenta un’opportunità di sviluppo, con particolare attenzione ai mercati emergenti e meno maturi. L’obiettivo principale è esportare la nostra proposizione di valore, mantenendo l’identità tecnologica e di servizio di OCTO, ma al tempo stesso, adattandola al contesto specifico del paese in cui operiamo. Praticamente, questo si traduce in una serie di attività molto eterogenee: dalla partecipazione diretta a trattative commerciali in mercati complessi come il continente Latino Americano, l’Asia Pacific e il Middle East, alla costruzione di partnership locali, fino alla strutturazione di offerte personalizzate che tengano conto di aspetti normativi, culturali e operativi diversi. La sfida più interessante è proprio questa: tradurre una strategia globale in azioni locali, mantenendo coerenza ma con la giusta flessibilità.

    In ogni nuova country, è fondamentale comprendere come evolve il settore dell’insurtech e della mobilità, e quali sono le tendenze, i player chiave, e quali modelli di business sono già consolidati. In alcuni paesi, ad esempio, la domanda si concentra su soluzioni di usage-based insurance o sulla riduzione dei sinistri su altri invece la customer engagement è preponderante. Il mio ruolo è proprio quello di intercettare queste dinamiche e farle dialogare con ciò che OCTO può offrire.

    2. Quali sono le leve strategiche che utilizzi per sviluppare nuovi mercati e rafforzare le relazioni commerciali con i clienti?

    Il primo passo è la conoscenza del contesto locale: non possiamo applicare un approccio commerciale standardizzato. Serve analisi, ascolto e la capacità di interpretare correttamente le priorità e pain points del cliente, che variano enormemente da paese a paese. In alcune aree, ad esempio, il tema della prevenzione dei furti e della localizzazione dei veicoli è centrale. In altri, invece, prioritaria è l’adozione di un modello di risk pricing predittivo in altri ancora l’engagement della customer base.

    Un’altra leva fondamentale è la credibilità del brand OCTO: la nostra capacità tecnologica, la solidità infrastrutturale e l’esperienza in settori regolati come quello assicurativo ci permettono di entrare in conversazioni strategiche anche con grandi attori, sin dalle fasi iniziali. Ma la tecnologia da sola non basta: per costruire un rapporto solido e duraturo con i clienti, puntiamo su un approccio consulenziale. Lavoriamo fianco a fianco per disegnare soluzioni su misura, spesso integrando i nostri servizi con i loro sistemi legacy o sviluppando interfacce personalizzate. Infine, non sottovaluto mai l’importanza delle relazioni personali e della presenza sul campo. In molte culture, la dimensione relazionale continua a rivestire un ruolo centrale nel processo decisionale. La presenza concreta, la costruzione di un rapporto di fiducia e il rispetto degli impegni assunti possono incidere quanto – e talvolta più – delle caratteristiche del prodotto stesso.

    3. In che modo OCTO adatta il proprio approccio commerciale alle esigenze dei diversi mercati globali?

      Credo che l’adattabilità sia una delle qualità che rendono OCTO competitiva a livello internazionale. Non ci limitiamo a replicare un modello, ma cerchiamo ogni volta la chiave giusta per entrare nel mercato. Questo significa adattare l’offerta commerciale sia in termini di proposizione sia di modello contrattuale, lavorando su business case sostenibili e coerenti con le aspettative locali. Ad esempio, in alcuni mercati è preferibile un modello per activation, mentre in altri è più efficace una logica a progetto o a canone mensile. In certi paesi il go-to-market passa per partnership con operatori telco o aggregatori, in altri è più strategico il contatto diretto con le compagnie assicurative o le istituzioni pubbliche. Altro elemento distintivo è la modularità della nostra piattaforma: possiamo attivare use case molto eterogenei – dallo scoring comportamentale alla gestione dei sinistri, fino alla mobilità condivisa – selezionando di volta in volta le funzionalità più pertinenti per ciascun cliente. Questo approccio ci permette di rispondere a esigenze differenti, mantenendo coerenza con la nostra identità.

      Credo che questa capacità di ascoltare, comprendere e adattare ci permetta non solo di entrare in nuovi mercati, ma soprattutto di rimanerci nel tempo, costruendo relazioni solide e generando valore nel lungo periodo.


      Mobility Budget: quando la mobilità diventa un benefit

      C’è un cambiamento silenzioso, ma decisivo, che sta attraversando il mondo della mobilità aziendale. Non si parla più solo di auto aziendali da assegnare, ma di qualcosa di molto più flessibile, sostenibile e personalizzato: il Mobility Budget. Un termine che negli ultimi mesi è entrato sempre più spesso nel vocabolario di HR manager, fleet manager e responsabili welfare.

      Attraverso il Mobility Budget, le aziende hanno la possibilità di impostare soglie di spesa personalizzate, assicurandosi che l’utilizzo dei servizi di mobilità sia destinato esclusivamente agli spostamenti casa-lavoro. Questo approccio incentiva l’adozione di soluzioni di trasporto più sostenibili, promuovendo comportamenti responsabili. Al tempo stesso, offre ai dipendenti un’ampia libertà di scelta, permettendo loro di selezionare i mezzi di trasporto più adatti al proprio stile di vita e alle proprie esigenze personali di mobilità: dal car sharing e car pooling al bike sharing, passando per soluzioni di micromobilità, taxi, abbonamenti ai mezzi pubblici o leasing di veicoli elettrici, validi su tutto il territorio nazionale.

      Ci sono tanti motivi per cui il Mobility Budget sta diventando una delle soluzioni più interessanti nel panorama della mobilità aziendale.

      • Con lo smart working e l’organizzazione sempre più ibrida, l’auto aziendale “fissa” ha perso un po’ di utilità.
      • Le aziende hanno obiettivi di sostenibilità sempre più concreti, e i dipendenti vogliono fare la loro parte. Il Mobility Budget aiuta a ridurre le emissioni, spingendo verso mezzi pubblici, mobilità elettrica o condivisa.
      • Non tutti i dipendenti hanno le stesse abitudini. C’è chi, vivendo in città, predilige la metropolitana, chi ha una famiglia e trova più comodo il car sharing, e chi invece sceglie di spostarsi in bicicletta.

      L’assenza di una normativa chiara genera incertezze anche rispetto alle modalità con cui il Mobility Budget può essere erogato. Attualmente, la soluzione più efficiente e intuitiva consiste nell’utilizzo delle piattaforme MaaS (Mobility as a Service), che integrano in un unico strumento digitale diversi servizi di mobilità, sia pubblici che privati, offrendo agli utenti una vasta gamma di opzioni di viaggio attraverso un’interfaccia unificata.

      Il Mobility Budget non è solo un nuovo strumento, è un nuovo modo di pensare il rapporto tra persone, aziende e spostamenti. È una risposta concreta alle esigenze di flessibilità, sostenibilità e benessere. E soprattutto, è una scelta che mette le persone al centro.

      Il vero punto di forza del Mobility Budget è la sua flessibilità: da un lato offre al dipendente la libertà di scegliere le modalità di spostamento più adatte al proprio stile di vita, dall’altro rappresenta per l’azienda uno strumento strategico per rafforzare la propria identità sostenibile. In questo modo, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di responsabilità sociale (CSR) e accresce l’appeal dell’azienda nei confronti dei nuovi talenti.

      Le aziende che oggi abbracciano questa visione saranno quelle che domani saranno pronte ad affrontare le sfide della mobilità in modo più agile, smart e umano.

      I dati che insegnano a guidare meglio: tecnologia al servizio della sicurezza

      Chi guida ogni giorno lo sa: basta un attimo di distrazione, un colpo di sonno, una curva presa troppo in fretta.

      La sicurezza stradale non è più solo un dovere civile: è una sfida quotidiana, concreta, misurabile. E oggi, grazie ai dati, possiamo trasformarla in valore. Per chi guida. Per chi assicura. Per chi gestisce flotte.

      La nuova frontiera? Prevenire prima ancora che l’incidente accada.

      La telematica ha trasformato l’auto in un sensore continuo. Ogni frenata, accelerazione, curva racconta qualcosa dello stile di guida. Ma questi dati non restano chiusi in un database: vengono trasformati in report periodici, alert in tempo reale, feedback personalizzati. È così che nasce la guida consapevole.

      Oggi esistono strumenti sempre più evoluti che trasformano l’informazione in prevenzione:

      • Driving Score personalizzati, che valutano la qualità della guida e la confrontano con standard virtuosi.
      • Coach virtuali, integrati nelle app mobile, che offrono suggerimenti pratici per migliorare lo stile di guida.
      • Alert predittivi che segnalano comportamenti potenzialmente pericolosi (come eccessi di velocità in curva o stili di guida distratti).
      • Dashboard per fleet manager, con heatmap del rischio, trend di miglioramento, classifiche tra driver e alert automatici.

      Per chi è al volante, questo significa maggiore attenzione e responsabilità. Per chi assicura o gestisce una flotta, significa meno sinistri, minori costi, clienti e driver più coinvolti.

      L’educazione alla guida non è più teorica: è un processo continuo, integrato nell’esperienza quotidiana.

      Quando una compagnia assicurativa riduce la frequenza degli incidenti, migliora la propria redditività. Quando una flotta aziendale riduce il rischio, protegge il proprio capitale umano e patrimoniale.

      Prevenire oggi è molto più redditizio che risarcire domani. E gli strumenti per farlo non sono più solo regole e divieti, ma dati intelligenti e azioni predittive.

      Non è un’esagerazione. Quando i dati aiutano a correggere comportamenti rischiosi prima che si traducano in un incidente, stanno proteggendo vite umane. E lo fanno con una logica win-win: per il guidatore, per l’azienda, per l’assicuratore.

      La sicurezza stradale non è più un tema da affrontare a fine anno. È una strategia continua, misurabile, integrata.

      E i dati sono i suoi migliori alleati.

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